Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/10

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4 saggi critici

late; e ben tosto l’udiamo lamentarsi di quella miseranda infermitá che noi lasciò piú infino alla morte; per modo che la sua vita si può dire con veritá essere stata una lunga agonia. Lo stato della salute è il principio consueto di ogni conversare e di ogni lettera; sicché in tutte quasi queste lettere materia assidua e presente di dolore è il suo male, o piuttosto i suoi mali; ché, col procedere dell’etá, par che il malore assaglia altre parti del corpo, e sotto nuove forme gli appresti nuovi tormenti, cruciandolo massimamente col privarlo de’ suoi cari studii e negargli ogni speranza di gloria e di lieto avvenire. La quale infermitá avvalora quella disposizione di animo, di cui è parlato di sopra: ché a poco a poco l’infermitá dell’anima e del corpo diviene un solo soffrire, con qualitá comuni ed indivise, e quella finzione, che noi chiamiamo metafora, per la quale lo spirito prende faccia visibile, e i corpi son circonfusi di alcunché di etereo che ce li ruba agli sguardi, diventa in lui una crudele realtá.

E ci è ancora altra materia di dolore. Per uscir di Recanati ei dovè lasciare gli agi della casa paterna e pati il bisogno. Non so se il padre potè aiutarlo e non volle; so bene che per soccorrerlo alquanto attese che il figliuolo condotto allo stremo gliene facesse dimanda. Ma se si può severamente riprendere Monaldo Leopardi, a noi non dá l’animo di usar gravi parole verso il padre di Giacomo; e quanto il figliuolo fu pio, e noi saremo indulgenti. Né rare son le lettere nelle quali a’ suoi piú intimi confessa l’autore le angustie ed i travagli dell’animo per procacciarsi la vita: fastidii e molestie del comun vivere, a cui basta il volgo e di cui non sono pazienti i generosi. La piú facile arte è quella di far danari, se mi è lecito di dire volgarmente cosa volgare, e l’aurea mediocritá degli uomini ha a questo una maravigliosa attitudine. E qui vediamo come il povero Leopardi sospirò invano un piccolo posto a Roma per intercessione del Niebhur, desiderò un tenue sussidio dallo Stella in ristoro delle sue fatiche, e dovè annoiarsi fieramente con discepoli dappoco, non capaci d’intenderlo; e come tutt’i suoi amici non poterono in tutta Italia trovare a Giacomo Leopardi altro che una cattedra di storia naturale, la quale non potè pur conseguire.