Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/233

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l’ultimo de’ puristi 227

fatto. Talora, sentendo un lavoro o una traduzione, interrompeva bruscamente il giovane e domandava: — Cosa leggete? — . Il Manzoni, — scappò su a dire un mal capitato, e il marchese si fe’ rosso di collera, non perché avesse in poco pregio il Manzoni, ma perché voleva gli studi fatti con ordine e di soli classici. Aveva egli in casa una compiuta raccolta di libri classici, fatta col peculio de’ giovani. Uno degli «Anziani» era bibliotecario, il quale dovea dar a leggere quei libri con un certo ordine prestabilito dal marchese. Si cominciava con gli scrittori piú piani, dove si dovea studiar non altro che parole e frasi, come il Sigoli o il Novellino; poi venivano gli scrittori che avevano stile, e prima bisognava studiar quelli di «stile naturale», come il Villani, il Cavalca, i Fatti d’Enea, i Fioretti di s. Francesco; e poi i piú artificiati e arguti e di «stile conciso», come Dino Compagni, Passavanti, gli Ammaestramenti degli antichi e il Sallustio di Bartolomeo da San Concordio: in ultimo veniva il Boccaccio che apriva la porta a’ Cinquecentisti. E qui lo stesso ordine : e si leggevano prima gli scrittori piani, eleganti, forbiti, e poi i serrati e concisi, prima i liviani, e poi i tacitiani, finché non si giungeva a’ due sommi e «riserbati per le frutta», Guicciardini e Machiavelli. Del Seicento permetteva di soli pochi lo studio, come il {{AutoreCitato|Daniello Bartoli|Bartoli e il {{AutoreCitato|Paolo Segneri|Segneri, e con le debite cautele. Ciascun giovane aveva i suoi quaderni, repertorio di tutti i bei modi di dire ed eleganze pescate in queste letture, e ne’ lavori faceva mostra delle sue ricchezze.

Sono convinto che niente giovi piú a rilevare gli studi letterarii ed a educare la mente, che questo assiduo lavorare del giovane, questo leggere, tradurre, comporre, notare, piú utile che non il mandare a memoria grammatiche, rettoriche e arti dello scrivere. Il marchese solea dire, citando un detto di Socrate, che il maestro dee essere come la levatrice che aiuti a partorire. Il miglior maestro è quello che pensi meno a comparir lui, e lasci fare i giovani, dissimulando la sua opera e creando in loro questa illusione che quello che imparano sono loro stessi che l’hanno trovato. Quello teniamo a mente che abbiamo acquistato col sudore della fronte: tutto l’altro facilmente entra e