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appassionata de’ suoi sentimenti. Ricordo con quanta commozione i giovani andavano a Pozzuoli a visitar la sua tomba; non ci era uomo colto che non sapesse a mente i suoi canti; la sua canzone All’Italia era un inno di guerra mormorato a bassa voce.

Ma quando della grandezza di Leopardi non si disputò piú, e fu tenuta come assioma la sua divinitá, anche prima che avesse la sua consacrazione a Parigi e a Berlino, fu fatto un sol fascio di tutte le sue poesie e tutte furono stimate di pari eccellenza. Or questo giudizio, che il Leopardi sia gran poeta e le sue poesie di egual pregio, è come un articolo di fede, che tutti vi si acquetano senza chieder piú oltre, e temono quasi di profanare la puritá e la semplicitá della fede quando volessero rendersene capaci per via di ragionamento. Cosi si è formata a poco a poco intorno al Leopardi una opinione tradizionale e quasi di convenzione che dispensa dallo studio e dall’esame, e avvezza la gioventú ad una ammirazione inconscia, tutta di frasi, che si chiama scienza ed è ignoranza.

Non ci è ancora niente che si possa chiamare una critica del Leopardi; appena hai qualche cosa che ne sia inizio. Preziosi materiali non mancano, e tra questi sono preziosissimi le sue lettere; il Sainte-Beuve ci ha dato notizie molte ed esatte delle sue opere edite e inedite; il nostro egregio Ranieri ci porse il concetto de’ suoi versi e delle sue prose cosí preciso e cosí a fil di logica, che ci dá aria di una di quelle costruzioni «a priori» tanto in voga a quel tempo; Vincenzo Gioberti scrisse parole bellissime intorno alle qualitá generali della sua poesia. E se è lecito aggiungere a cosí illustri il mio povero nome, io ho avuto piú volte occasione di parlarne, ma cosí per incidente, come nel mio lavoro intorno ad una delle sue piú importanti canzoni1, e nell’altro intorno al suo Epistolario, e nel Dialogo su Schopenhauer. Ma tutto questo non è ancora una critica del Leopardi.

Manca innanzi tutto uno studio del suo universo. Perché



  1. Alla sua donna.