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la prima canzone di g. leopardi 353

«al signor cavaliere Vincenzo Monti». Dove, in luogo di parlar dell’Italia, discorre lungamente di un inno perduto di Simonide, nel quale è celebrato il fatto delle Termopili, e dalle impressioni cosí ancora vivaci dopo ventitré secoli argomenta quelle del cantore greco e conchiude cosí:

Per queste considerazioni riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza andassero perdute, non ch’io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell’animo del poeta in quel tempo e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl’ ingegni, tornare a fare la sua canzone.

Qui si scopre Leopardi, quale noi lo conosciamo. Egli che avea scritte due greche anacreontiche con tale somiglianza di stile che parecchi le stimarono fattura di Anacreonte, e aveva composto un Inno a Nettuno, spacciandolo versione dal greco, e rendendo l’audace asserzione credibile con la perfetta imitazione; ora tenta rifare la canzone di Simonide, e cerca qualche frammento, qualche parola superstite, che lo aiuti a ricomporre il tutto. In Diodoro trova alcune parole di Simonide, e ne cava il bel motto: «la vostra tomba è un’ara»; parole comprensive e quasi epigrafe del perduto poema, tali che da quelle non difficilmente s’indovina il concetto e il sentimento che anima il tutto. Su questa base riedifica il Leopardi.

Il Giordani chiama greco questo poema di Simonide e l’ultimo canto di Saffo, e chiama romano il canto di Bruto. Se

intende del soggetto, non era mestieri dirlo. Ma intende dello stile, del colore, dell’aria del componimento. E qui è facile a dir greco e romano, parole molto abusate, ma non si dice niente di preciso e di scientifico. Certo, il Leopardi volle imitare Simonide, e far cosa tutta greca, e qui non ci è pensiero, o fatto, o paragone, o immagine, che non sia reminiscenza greca. Ma il carattere di un componimento è costituito non dalle membra, ma dallo spirito. Un moderno può riprodurre dall’antico le membra, voglio dire i singoli pensieri e immagini e movenze e costruzioni, e sará un bel cadavere a cui manchi lo spirito,

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De Sanctis, Saggi critici.-ii