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266 | saggi critici |
strazioni, che offre la storia, ma una costruzione mentale o tipica.
Il fine mentale o tipico che penetra in tutta la favola è l’animalitá, il tipo bestiale dell’uomo. L’ideale è qui la soddisfazione degli appetiti in tutte le sue forme. E questo ideale non si riscontra solo in questo o in quel personaggio, ma in tutto l’ambiente di una societá degradata. Dico degradata, e cosí pare anche allo scrittore, il quale, rappresentando tipi animaleschi, rimane lui uomo.
Il Casti rappresentò la bestialitá umana sotto forme addirittura animali, cogliendo in quei tipi il grottesco. Quando quei vizii gli parevano ridicoli e materia di commedie, vuol dire che la societá era mezzo guasta, compreso lui. In questa esposizione di Zola non c’è vestigio di quel «rire gaulois», di quello spirito, di quella superficialitá spensierata, che alcuni credono propria della natura francese. Qui è una nazione che comincia a riflettere e a impensierirsi, e fa la faccia scura. Zola è l’anima di questa nazione. È cessato lo scherzo. Il tono nella sua cruditá è severo. Mentre gli uomini imbestiati gavazzano, ci è intorno a loro non so che di glaciale che li accusa. E il tono di Zola, la sua idealitá. Dante non ride, ma ringhia. Zola non ringhia neppure. E marmoreo. E ci è del dantesco in quel marmoreo.
Molti nella rappresentazione di cose brutte e volgari fanno sentire la loro ripugnanza,
Ché voler ciò udire è bassa voglia, |
e anche la loro collera, e talora cercano rimedio in personaggi contrapposti, in un marchese di Posa. La rappresentazione penetrata di una falsa sentimentalitá ti si offre scissa, ondeggiante tra due correnti. Ci è non so che di questo sentimentalismo, in questa ripugnanza a guardar le cose come le sono, e chiuder gli occhi, come fanno certi animali innanzi al pericolo. Guardare in faccia il male e rappresentarlo nella sua veritá, questa è arte virile. E la virilitá di Zola. Però è impossibile che le cose osservate e rappresentate non abbiano ripercussione. E qui è ap-