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i - i siciliani | 7 |
ancora plebea di quella vita nuova svegliatasi in Europa al tempo delle Crociate e che avea avuta la sua espressione anche in Italia, e massime nella normanna Sicilia. Di quella vita un’espressione ancor semplice e immediata, ma piú nobile, piú diretta e meno locale, è nella romanza attribuita al re di Gerusalemme e nel Lamento dell’amante del crociato di Rinaldo d’Aquino. Sentimenti gentili e affettuosi sono qui espressi in
lingua schietta e di un pretto stampo italiano, con semplicitá e veritá di stile, con melodia soave. Cantato e accompagnato da istrumenti musicali, questo «sonetto», come lo chiama l’innamorata, dovea fare la piú grande impressione. Comincia cosí:
Giammai non mi conforto né mi voglio allegrare. Le navi sono al porto e vogliono collare. Vassene la piú gente in terra d’oltremare. Ed io, oimè lassa dolente! come degg’io fare? Vassene in altra centrata, e noi mi manda a dire: ed io rimango ingannata. Tanti son li sospire che mi fanno gran guerra la notte con la dia; né in cielo né in terra non mi par ch’io sia. |
Il séguito della canzone è una tenera e naturale mescolanza di preghiere e di lamenti, ora raccomandando a Dio l’amato, ora dolendosi con la croce:
La croce mi fa dolente, e non mi vai Deo pregare. Oimè, croce pellegrina, perché m’hai cosí distrutta? oimè lassa tapina! ch’io ardo e incendo tutta. |