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vi - il trecento 141


In questi due secoli abbiamo due letterature quasi parallele e persistenti l’una accanto all’altra: una schiettamente religiosa, chiusa nella vita contemplativa, circoscritta alla Bibbia e a’ santi padri, e che ha per risultato inni e cantici e laude, rappresentazioni, leggende, visioni; e l’altra, che vi tira entro tutto lo scibile e lo riduce a sistema filosofico, e abbraccia i vari aspetti della vita, e dá per risultato somme, enciclopedie, trattati, cronache e storie, sonetti e canzoni. Tra queste due letterature erra la novella e il romanzo, eco della cavalleria, rimasti senza séguito e senza sviluppo, quasi cosa profana e frivola.

Gli uomini istrutti si studiavano di render popolare la cultura, specialmente nella sua parte piú accessibile e pratica, l’etica e la morale. Indi le tante versioni e raccolte di precetti etici sotto nome di Fiori, Giardini, Tesori, Ammaestramenti. Un tentativo di questo genere fu il Tesoretto.

Nella prima parte della lirica dantesca hai la storia ideale della santa, nella sua purezza soppresso il demonio e le tentazioni della carne. È il mistero dell’anima cosí come è rappresentato nella Commedia dell’anima. L’anima, che, uscita pura dalle mani di Dio, dopo breve pellegrinaggio ritorna in cielo bellezza spirituale o luce intellettuale, è Beatrice; e Beatrice è la santa della gente colta, è la donna platonica e innominata de’ poeti, battezzata e santificata.

Nella seconda parte Beatrice è la filosofia, che riceve la sua esplicazione dottrinale nelle Canzoni e nel Convito. La poesia va a metter capo nella pura scienza, nell’esposizione scolastica di un mondo morale, dell’etica.

La letteratura popolare va a finire nelle lettere dottrinali e monotone di Caterina: il suo difetto ingenito è l’astrazione dell’ascetismo. La letteratura dotta va a finire nelle sottigliezze scolastiche del Convito: il suo difetto intrinseco è l’astrazione della scienza. Tutte e due hanno una malattia comune: l’astrazione, e la sua conseguenza letteraria: l’allegoria.

Ma il mondo di Dante non potea rimaner chiuso in questi limiti, o piuttosto non era questo il suo mondo naturale e geniale, conforme alle qualitá del suo spirito e del suo genio, e