Ed or mi mena orgoglio, lo cor mi fende e taglia. Oi lassa tapinella, come l’amor m’ha prisa! come lo cor m’infella quello che m’ha conquisa! La sua persona bella tolto m’ha gioco e risa, ed hammi messa in pene ed in tormento forte: mai non credo aver bene, se non m’accorre morte, e spero, lá che vene, traggami d’esta sorte. Lassa! che mi dicia, quando m’avia in celato: — Di te, o vita mia, mi tegno piú pagato, che s’i’avessi in balia lo mondo a signorato.
Sono sentimenti elementari e irridessi, che sbuccian fuori nella loro natia integritá senza immagini e senza concetti. Non ci è poeta di quel tempo, anche tra’ meno naturali, dove non trovi qualche esempio di questa forma primitiva, elementare, «a suon di natura», come dice un poeta popolare, e com’è una prima e súbita impressione còlta nella sua sinceritá. Ed è allora che la lingua esce così viva e propria e musicale che serba una immortale freschezza, e la diresti «pur mò nata», e fa contrasto con altre parti ispide dello stesso canto. Rozza assai è una canzone di Enzo re; ma chi ha pazienza di leggerla vi trova questa gemma:
Giorno non ho di posa, come nel mare l’onda: core, ché non ti smembri? esci di pene e dal corpo ti parte: ch’assai vai meglio un’ora morir che ognor penare.