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vii - la «commedia» 213


                                         Cosi per entro loro schiera bruna
s’ammusa l’una con l’altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna.
     

E che poteva e sapeva con pari felicitá esprimere i loro sentimenti, non solo il vago e l’indeterminato, ma anche il proprio e il successivo, ed essere il Davide del suo purgatorio, lo mostra il suo «paternostro», rimaso canto solitario.

Le fuggitive apparizioni degli angeli sono quasi immagine anticipata del paradiso nel luogo della speranza. In essi non è alcuna subbiettivitá: sono forme eteree vestite di luce, fluttuanti come le mistiche visioni dell’estasi, e nondimeno ciascuna con propria apparenza e attitudine:

                                    Tal che parea beato per iscritto...
     Verdi, come fogliette pur mò nate,
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate...
     Ben discerneva in lor la testa bionda,
ma nelle facce l’occhio si smarria,
come virtú ch’a troppo si confonda...
     A noi venia la creatura bella,
bianco vestita, e nella faccia quale
par tremolando mattutina stella.
     
Molto per la pittura, poco per la poesia. Manca la parola, manca la personalitá. Ci è il corpo dell’angiolo, non ci è l’angiolo. Nelle dolci note, tra quelle forme d’angioli, l’anima s’infutura, «gusta le primizie del piacere eterno». Di che prende qualitá la natura del purgatorio, una montagna, scala al paradiso, in principio faticosa a salire:
                                    E quanto piú va su, e men fa male.
     Però quand’ella ti parrá soave
tanto, che ’l suso andar ti sia leggiero,
com’a seconda in giuso andar con nave,
     allor sarai al fin d’esto sentiero.
     
Il luogo è rallegrato da luce non propria, ma riflessa dal sole e dalle stelle, che sono il paradiso dantesco. La prima impressione