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218 storia della letteratura italiana


                                         volsimi alla sinistra, col respitto
col quale il fantolin corre alla mamma,
quando ha paura o quando egli è afflitto,
     per dicer a Virgilio: — Men che dramma
di sangue m’è rimaso, che non tremi:
conosco i segni dell’antica fiamma. —
     Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé; Virgilio, dolcissimo padre;
Virgilio, a cui per mia salute dièmi.
     

Dal pianto di Dante esce un felicissimo passaggio per introdurre in iscena Beatrice:

                                         Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora,
ché pianger ti convien per altra spada.
     

Gli occhi di Dante sono lá verso la donna, che lo chiama per nome:

                                         Guardami ben: ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui l’uomo è felice?
     
E gli occhi cadono nella fontana e, non sostenendo la propria vista, cadono sull’erba:
                                         Gli occhi mi cadder giú nel chiaro fonte;
ma, veggendoini in esso, io trassi all’erba:
tanta vergogna mi gravò la fronte.
     

Qui è la prima volta e sola che un’azione è rappresentata nel suo cammino e nel suo svolgimento, come in un mistero; e Dante vi rivela un ingegno drammatico superiore. I piú intimi e rapidi movimenti dell’animo scappan fuori; i due attori, Dante e Beatrice, vi sono perfettamente disegnati; gli angioli fanno coro e intervengono. La scena è rapida, calda, piena di movimenti e di gradazioni fine e profonde. La vergogna di Dante senza lacrime e sospiri giunge a poco a poco sino al pianto dirotto. Dapprima sta li piú attonito che compunto; ma, quando gli