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| vii - la «commedia» | 225 |
Il paradiso ha ancora la sua storia e il suo progresso, come l’inferno e il purgatorio. È una progressiva manifestazione dello spirito o di Dio in una forma sempre piú sottile sino al suo compiuto sparire: manifestazione ascendente di Dio, che risponde a’ diversi ordini o gradi di virtú. Sali di stella in stella, come di virtú in virtú, sino al cielo empireo, soggiorno di Dio.
Ad esprimere queste gradazioni, unica forma è la luce. Perciò non hai qui, come nell’inferno o nel purgatorio, differenze qualitative, ma unicamente quantitative, un piú e un meno. Prima la luce non è cosí viva che celi la faccia umana; piú si sale, e piú la luce occulta le forme come in un santuario. Come è la luce, cosí è il riso di Beatrice, un «crescendo» superiore ad ogni determinazione; la fantasia, formando, non può seguire l’intelletto, che distingue. Bene il poeta vi adopera l’estremo del suo ingegno, conscio della grandezza e difficoltá dell’impresa:
L’acqua, ch’io prendo, giammai non si corse. |
Dapprima, caldo di questo mondo, sua fattura, allettato dalla novitá o dal maraviglioso de’ fenomeni che gli si affacciano, le immagini gli escono vivaci, peregrine. Poi, quasi stanco, diviene arido e dá in sottigliezze [1]; ma lo vedi rilevarsi e poggiare piú e piú a inarrivabile altezza, sereno, estatico: diresti che la difficoltá lo alletti, la novitá lo rinfranchi, l’infinito lo esalti.
| F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - i. | 15 |
- ↑ Ecco esempi di ariditá e di sottigliezze:
- ...e quale io allor vidi
- negli occhi santi amor, qui l’abbandono (xviii, 8-9).
- E gli occhi avea di letizia sí pieni,
- che passar mi convien senza costrutto (xxiii, 23-4).
- E tal nella sembianza sua divenne
- qual diverrebbe Giove, s’egli e Marte
- fossero augelli e cambiassersi penne (xxvii, 13-5).
- Poscia tra esse un lume si schiarí,
- sí che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
- il verno avrebbe un mese di un sol dí (xxv, 100-2).