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x - l’ultimo trecentista 335


                                    E questo è quel che par che non soggiorni...
E, s’egli è alcun che guardi,
gli studi in forni vede giá conversi...
     

Questa canzone di cui abbiamo citati alcuni brani è l’elogio funebre del Trecento, pronunziato dal piú candido e simpatico de’ suoi scrittori, l’ultimo trecentista. Sulla fine del secolo il vecchio burlone gitta uno sguardo malinconico indietro, e gli si affaccia la grande figura di Dante, e l’Africa col suo «alto poeta», e Giovan Boccacci non col suo festevole Decamerone, ma co’ dotti e magni volumi latini, De’ viri illustri. Delle donne chiare, e «il terzo»:

                                    Buccolica; il quarto: Monti e fiumi;
il quinto: Degli iddíi e lor costumi.
     

Oimè! Dante è morto, morto è Boccacci, Petrarca muore: chi rimane? E l’ultimo trecentista guarda intorno e risponde: — Nessuno. — Ricorda le infauste profezie, nunzie di sciagure fra il Sessanta e l’Ottanta, e gli pare venuto il finimondo. La forte semenza da cui uscirono i tre grandi e tanti altri dottissimi, teologi, filosofi, legisti, astrologò è perita per sempre, o risurgerá dopo cinquecento anni, come fu della medicina? o non verrá prima il giudizio finale? Il mondo è dato all’abaco e alle arti meccaniche: «nuda è l’adorna scuola» da tutte sue parti:

                                    non si truova fenestra
che valor dentro chiuda.
     
La nuova generazione è tutta dietro alle mode e a’ sollazzi e al guadagno, e non cura virtú, e spregia le muse, e non ci è chi sappia leggere Dante, e gli studi sono mutati in forni. Il poeta accomiata la canzone in questo modo:
                                         Orfana, trista, sconsolata e cieca,
senza conforto e fuor d’ogni speranza,
se alcun giorno t’avanza,
come tu puoi, ne va’ peregrinando,
e di’al cielo: — Io mi ti raccomando. —