Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1912 – BEIC 1806199.djvu/347

Da Wikisource.

xi - le «stanze» 341


come la Bibbia. Pico della Mirandola, morto a trentun anno, stupisce l’Italia con la sua dottrina, ed, oltrepassando il mondo greco, cerca in Oriente la culla della civiltá.

I caratteri di questa coltura sono palpabili.

Innanzi tutto ti colpisce la sua universalitá. Il centro del movimento non è piú solo Bologna e Firenze. Padova gareggia con Bologna. Il Mezzodí dopo lungo sonno prende il suo posto nella storia letteraria, e il Panormita fa giá presentire il Pontano e il Sannazaro. Roma è il convegno di tutti gli eruditi, attirati dalla liberalitá di Nicolò quinto. La coltura acquista una fisonomia nazionale, diviene italiana. Anche il volgare, trattato dalle classi colte ed atteggiato alla latina, si scosta dagli elementi locali e municipali, e prende aria italiana.

Ma è l’Italia de’ letterati, col suo centro di gravitá nelle corti. Il movimento è tutto sulla superficie, e non viene dal popolo e non cala nel popolo. O, per dir meglio, popolo non ci è. Cadute sono le repubbliche, mancata è ogni lotta intellettuale, ogni passione politica. Hai plebe infinita, cenciosa e superstiziosa, la cui voce è coperta dalla romorosa gioia delle corti e de’ letterati, esalata in versi latini. A’ letterati fama, onori e quattrini; a’ principi incensi, tra il fumo de’ quali sono giunti a noi papa Nicolò, Alfonso il magnanimo, Cosimo padre della patria, e piú tardi Lorenzo il magnifico, e Leone decimo e i duchi di Este. I etterati facevano come i capitani di ventura: servivano chi pagava meglio: il nemico dell’oggi diveniva il protettore del dimani. Erranti per le corti, si vendevano all’incanto.

Questa fiacchezza e servilitá di carattere, accompagnata con una profonda indifferenza religiosa, morale e politica, di cui vediamo gli albori fin da’ tempi del Boccaccio, è giunta ora a tal punto che è costume e abito sociale, e si manifesta con una franchezza che oggi appare cinismo. Una certa ipocrisia c’è, quando si ha ad esprimere dottrine non ricevute universalmente; ma, quanto alla rappresentazione della vita, ti è innanzi nella sua nuditá. È una letteratura senza veli, e piú sfacciata in latino che in volgare.