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xi - le «stanze» 349


carmi. Il suo studio e la sua villetta di Fiesole sono il compendio di questa vita tranquilla e placida, spenta a quarant’anni.

Il Poliziano aveva uno squisito sentimento della forma nella piena indifferenza di ogni contenuto. Il tempio era vuoto: vi entrò Apollo e lo empi d’immagini e di armonie. Il mondo antico s’impossessò subito di un’anima dove ogni vestigio del medio evo era scomparso. Il Boccaccio senti che è ancora medio evo, e lo vedi alle prese co’ canoni e le scienze sacre e le forme dantesche; il vecchio e il nuovo Adamo combattono in lui, come nel Petrarca: erano tempi di transizione. Nel Poliziano tutto è concorde e deciso: non ci è piú lotta. Teologia, scolasticismo, simbolismo, il medio evo nelle sue forme e nel suo contenuto, di cui vedevi ancora la memoria prosaica nelle laude e ne’ misteri, è un mondo in tutto estraneo alla sua coltura e al suo sentire. Quello è per lui la barbarie. E non ha bisogno di cacciarlo dalla sua anima: non ve Io trova. Il sentimento della bella forma, giá cosí grande nel Petrarca e nel Boccaccio, in lui è tutto; e quel mondo della bella forma, appresso al quale correvano faticosamente il Boccaccio e il Petrarca fin da’ primi anni, è il mondo suo, e ci vive come fosse nato lá dentro, e ne ha non solo la conoscenza ma il gusto. Questo era la coltura, l’umanitá, il Risorgimento: orgoglio di una societá erudita, artistica, idillica, sensuale, quale il Boccaccio l’avea abbozzata e che ora si specchia nel Poliziano come nel suo modello ideale. Perché questa generazione, caduta cosí basso, fiacca di tempra e vuota di coscienza, aveva pure la sua idealitá, il suo divino; ed era l’orgoglio della coltura, il sentimento della forma. Le sue mascherate, le cacce, le serenate, le giostre, le feste, tanta parte di quella vita oziosa e allegra, erano nobilitate dalle arti dello spirito e da’ piaceri dell’immaginazione. E se il cardinale Gonzaga, rientrando nella patria, bandisce pubbliche feste e cerca nella poesia il loro ornamento e decoro, il giovane Poliziano gli scrive in due giorni l’Orfeo. E che cosa è l’Orfeo? Come gli venne in mente Orfeo? Giovanni Boccaccio nel Ninfale e nell’Ameto canta la fine della barbarie e il regno della coltura o dell’umanitá. Il rozzo Ameto, educato dalle arti e