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xii - il cinquecento 391


disuso. Il petrarchismo invase uomini e donne. La posteritá ha dimenticati i petrarchisti, e appena è se fra tanti rimatori sopravviva con qualche epiteto di lode il Casa, il Costanzo, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Galeazzo di Tarsia e pochi altri, capitanati da Pietro Bembo, boccaccevole e petrarchista, tenuto allora principe della prosa e del verso.

Certo, prose e versi erano nel loro meccanismo di una buona fattura, e l’ultimo prosatore o rimatore scrivea piú corretto e piú regolato che parecchi pregiati scrittori de’ secoli scorsi. E perché tutti scrivevano bene e tutti sapevano tirar fuori un sonetto o un periodo ben sonante, moltiplicarono gli scrittori, e furono tentati tutt’i generi. Comparvero commedie, tragedie, poemi, satire, orazioni, storie, epistole, tutto a modo degli antichi. Il Trissino scrivea l’Italia liberata e la Sofonisba, Luigi Alamanni faceva il Giovenale e monsignor della Casa contraffaceva Cicerone. A’ misteri successero commedie e tragedie, con magnifica rappresentazione. E non solo le forme del dire latine, ma anche la mitologia s’incorporava nella lingua: e si giurò per gl’«iddii immortali»; e Apollo, le muse, Elicona, il Parnaso, Diana, Nettuno, Plutone, Cerbero, le ninfe, i satiri divennero luoghi comuni in prosa ed in verso. Sapere il latino non era piú un merito: tutti lo sapevano, come oggi il francese, e mescolavano il parlare di parole latine, per vezzo o per maggiore efficacia. Ci erano gl’improvvisatori, che nelle corti li su due piedi fabbricavano epigrammi e facezie, come oggi si fa i brindisi, e ne avevano in merito qualche scudo o qualche bicchiere di buon vino, che Leone decimo dava annacquato al suo «archipoeta», un improvvisatore di distici, quando il distico mal riusciva. E c’erano anche non pochi che conoscevano ottimamente il latino e lo scrivevano con rara perfezione, come il Sannazaro, il Fracastoro e il Vida, i cui poemi latini sono ciò che di piú elegante siesi scritto in quella lingua ne’ temili moderni. Aggiungi le odi ed elegie del Flaminio.

Latinisti e rimatori erano le due piú grosse schiere de’ letterati. Nelle loro opere l’importante è la «frase», un certo artificio di espressione che riveli nell’autore coltura e conoscenza