Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/215

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Non è il mondan romore altro eh’ un fiato di vento, ch’or vien quinci ed or vien quindi, e muta nome perché muta lato.

Una delle figure piú interessanti è Adriano. All’ultimo della grandezza dice:

Vidi che li non si quetava ’l core, né piú salir poteasi in quella vita; per che di questa in me s’accese amore.

Questo papa disilluso ha lunga e mala parentela, e sono tutti morti per lui, eccetto la buona Alagia:

E questa sola m’ è di lá rimasa.

Quest’ultimo verso è pregno di malinconia.

Questa calma filosofica, che fa guardare dall’alto del purgatorio la vita e ne scopre il vano e il nulla, restringe il circolo della personalitá e della realtá terrena. Gli individui appariscono e spariscono, appena disegnati; hanno la bellezza, ma anche la monotonia e l’ immobilitá della calma. Sono uomini che discutono e conversano in una sala, piú che uomini agitati e appassionati. I grandi individui storici, le grandi creature della fantasia scompariscono.

Piú che negli individui, la vita si manifesta nei gruppi : la vita qui è meno individuo che genere. La comune anima ha la sua espressione nel canto. Nell’ inferno non ci son cori, perché non vi è l’unitá dell’amore. L’odio è solitario; l’amore è simpatia e armonia; la musica e il canto conseguono i loro effetti nella misurata varietá delle voci e degl’ istrumenti. Qui le anime sono esseri musicali, che escono dalla loro coscienza individuale, assorte in uno stesso spirito di caritá :

Una parola in tutte era ed un modo, si che parea tra esse ogni concordia.