Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/232

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1 xxm, 1-9.

2 x, l3g-44 3 III, 122-3.

Come l’augello, intra l’amate fronde, posato al nido de’ suoi dolci nati, la notte che le cose ci nasconde,

che, per veder gli aspetti desiati e per trovar lo cibo onde gli pasca, in che i gravi labor gli sono grati,

previene ’l tempo in su l’aperta frasca, e con ardente afietto il sole aspetta, fiso guardando, pur che l’alba nasca... l .

. . . Come orologio che ne chiami nell’ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l’ami; che l’una parte l’altra tira ed urge,

«tin tin» sonando con si dolce nota, che’l ben disposto spirto d’amor turge... 2 .

... e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave 3 .

Qual lodoletta, che in aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta dell’ultima dolcezza che la sazia... 4 .

Pareva a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse.

Per entro sé l’eterna margherita ne ricevette, com’acqua recepe raggio di luce, rimanendo unita 5 .

Si come schiera d’api, che s’ infiora una fiata, ed una si ritorna lá dove suo lavoro s’ insapora... 6 .

4 xx, 73-5.

5 n, 3i-6.

6 xxxi, 7-9.