Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/340

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Con questi tristi presentimenti si chiude il secolo. Il Dugento finisce con Cino e Cavalcanti e Dante giá adulti e chiari : finisce come un’aurora entro cui si vede giá brillare la vita nuova, una nuova èra. Il Trecento finisce come un tristo tramonto, cosi tristo e oscuro che il buon Franco pensa: — Chi sa se tornerá il sole? —

Antonio da Ferrara, sparsasi voce della morte del Petrarca, intuona anche lui un poetico Lamento. Piangono intorno al grand’uomo Gramatica, Rettori ca, Storia, Filosofia; e lo accompagnano al sepolcro di Parnaso

Virgilio, Ovidio, Giovenale e Stazio,

Lucrezio, Persio, Lucano e Orazio e Gallo.

E Pallas Minerva, venuta daU’angelico regno, conserva la sua corona. In ultimo della mesta processione spunta l’autore col suo nome, cognome e soprannome:

È Anton de’ Beccar, quel da Ferrara, che poco sa ma volentieri impara.

È anche un brav’uomo costui; vede anche lui tutto nero:

Del mondo bandita è concordia e pace, per l’universo la discordia trona, sommerso è ogni bene, l’amor di Dio ha bando, e parmi che la fé vada mancando.

Sono lamenti senili di uomini superficiali e mediocri, dove non trovi alcuna profonditá di vista e non forza di mente o di sentimento. Pur vi trovi, ancorché in forma pedantesca, la fisonomia del secolo negli ultimi giorni della sua esistenza.

Quella nota malinconica è la stessa forza che tirò alla Certosa il vecchio Boccaccio, e volse a Maria gli ardori del Petrarca, e> rattristò le ultime ore di Franco Sacchetti, e piegò le ginocchia di Giovanna innanzi a Caterina da Siena. Perché quella forza, contraddetta e negata nella vita, occupava ancor T intelletto, e