Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/419

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allettamento dell’oscenitá, o ne’ movimenti piú curiosi del fantastico, come di uomini uccisi e rifatti vivi. Narra il miracolo con quella indifferenza che i casi quotidiani della vita, e mi rassomiglia un uomo divenuto per la lunga consuetudine frigido e ottuso, che non ha piú passioni ma vizi. Chi vuol vederlo, paragoni le sue «Nozze del diavolo» col Belfegor del Machiavelli, argomento simile, e il suo «studente vendicativo» col famoso «studente» del Boccaccio; e vedrá che a lui manca non meno il talento comico che la virtú informativa. Ma che importa? Non mira che a stuzzicare la sensualitá e la curiositá, e chi si contenta gode. E per meglio avere l’uno e l’altro intento, aggiunge al racconto un enigma o indovinello in verso, osceno dí apparenza, e spiegato poi altrimenti che suona a prima udita. Cosi oggi i cervelli oziosi, per fuggir la noia, fanno o sciolgono sciarade e rebus. Il fantastico era il cibo de’ cervelli oziosi, non meno che l’enigma o i tanti poemi cavallereschi. L’arte era divenuta mestiere; e pur di sentire fatti nuovi e strani, non si cercava altro. Ristorare il fantastico in mezzo a una borghesia scettica e sensuale era vana impresa. Nelle antiche leggende senti il miracolo, e senti il maraviglioso ne’ romanzi antichi di cavalleria : ora manca l’ ingenuitá e la semplicitá, e l’arte non può riprodurre il fantastico che con un ghigno ironico, volgendolo in gioco. Perciò la sola novella fantastica che si possa chiamare lavoro d’arte è il Belfegcn : il diavolo accompagnato dal sorriso machiavellico. Cosa ha di vivo il diavolo borghese e volgare dello Straparola o la sua Teodosia, che è la leggenda messa in taverna?

Se una ristorazione del fantastico non era possibile, come poteva aversi una ristorazione del tragico? Ma ci furono anche novelle tragiche con la stessa intonazione del Decamerone, anzi della Fiammetta. E sono quello che potevano essere : fior di rettorica. D’ immaginazione ce n’era molta, ma di sentimento non ce n’era favilla. Cosa di eroico o di affettuoso o di nobile poteva essere tra quelle corti e quelle accademie, ciascuno sei pensi. Chi desideri esempli di questa rettorica, vegga la Giulietta di Luigi da Porto, o nel Bandello i monologhi di Adelasia