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xvi - pietro aretino 115


                                    Or queste si che saran lodi, queste
lodi chiare saranno, e sole e vere,
appunto come il vero e come il sole.
     


Il suo spirito, il suo umore gioviale, l’estro libidinoso gli acquistarono tanta riputazione, che, fuggito di Roma per i suoi sedici sonetti illustrativi de’ disegni osceni di Giulio Romano, fu cercato come un buon compagnone da Giovanni de’ Medici, capo delle «bande nere», detto il «gran diavolo». Aveva poco piú che trent’anni. Giovanni e Francesco primo se lo disputano. Giovanni voleva fare signore di Arezzo il suo compagno di orgie e di libidini, quando una palla tedesca gli troncò il disegno e la vita. Pietro avea coscienza oramai della sua forza. E, lasciando le corti, riparò in Venezia come in una ròcca sicura, e di lá padroneggiò l’Italia con la penna. Udiamo lui stesso, come si dipinge nelle sue lettere:


Io, che nella libertá di cotanto Stato ho fornito d’ imparare a esser libero, refuto la corte in eterno, e qui [a Venezia] faccio perpetuo tabernacolo agli anni che mi avanzano, perché qui non ha luogo il tradimento, qui il favore non può far torto al diritto, qui non regna la crudeltá de le meretrici, qui non comanda l’insolenza degli effeminati, qui non si ruba, qui non si forza e qui non si ammazza... Oh patria universale! Oh libertá comune! Oh albergo de le genti disperse!... Ella t’abraccia s’altri ti schifa, ella ti regge s’altri t’abatte, ella ti pasce s’altri ti affama, ella ti riceve s’altri ti caccia, e, nel rallegrarti nelle tribulazioni, ti conserva in caritá e in amore.

Per divina grazia uomo libero...

Io mi rido dei pedanti...

Io non mi son tolto dagli andari del Petrarca né del Boccaccio per ignoranza, ché pur so ciò che essi sono, ma per non perder il tempo, la pacienza e ’l nome nella pazzia del volermi trasformar in loro, non essendo possibile. Piú prò fa il pane asciutto in casa sua che l’accompagnato con molte vivande a l’altrui tavola. Io me ne vado passo passo per il giardino de le muse, non mai cadendomi parola che sappia di lezzo vecchino. Io porto il viso de l’ingegno smascarato, e il mio non saper un’acca insegna a quegli che sanno che le «elle» e le «emme»; talché oggimai doverebbe