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146 storia della letteratura italiana


di «ripieno», e sottigliezze infinite su di una lettera o una sillaba. Onde nacque una ortografia in molte parti campata in aria e tentennante, una sintassi complicata e incerta, un guazzabuglio di particelle, pronomi, generi, casi, alterazioni e costruzioni, una grammatica che anche oggi è una delle meno precise e semplici. Avemmo una lingua senza proprietá e una grammatica senza precisione; perché lingua e grammatica furono considerate non in rispetto alle cose, ma per se stesse, come forme vacue e arbitrarie.

L’attenzione era tutta al di fuori, sulla superficie. La letteratura fu un artificio tecnico, un meccanismo. E si cercò il suo fondamento non nelle ragioni intrinseche di ciascuna forma messa in relazione con le cose, ma nell’esempio degli scrittori. Come del periodo, cosi immaginarono uno schema artificiale e immobile di composizione, la cui base fu posta in una certa concordanza del tutto e delle parti, come in un orologio, e questo chiamavano «scrivere classico». Smarrito il sentimento dell’arte e della poesia, non rimase che un concetto prosaico di perfezione meccanica, la regolaritá e la correzione. Davano una importanza straordinaria alla lingua, alla grammatica, all’elocuzione, al periodo, alla composizione : e qui erano le colonne di Ercole, qui finiva la critica. Gli scrittori, giudicati secondo questi criteri, erano piú o meno lodati secondo che piú o meno si avvicinavano al modello. Si vantavano le commedie e le tragedie di quel tempo per la loro conformitá alle regole. E come un effetto bisognava ottenere sugli spettatori, e quella regolaritá ammiratissima era pur la piú noiosa cosa di questo mondo, cercavano l’effetto ne’ mezzi piú grossolani e caricati, a cui sogliono ricorrere gli uomini mediocri. Le commedie erano buffonerie, le tragedie erano orrori, e tra le piú insopportabili era appunto la Canace dello Speroni. Una sola cosa mancava all’Italia, il genere eroico, e lo Speroni è tutto sconsolato di non trovarne l’esempio nel Petrarca. «Quasi nuovo alchimista, lungamente mi faticai per trovare l’eroico, il qual nome niuna guisa di rima dal Petrarca tessuta non è degna di appropriarsi.» Il Trissino era mal riuscito. L’Orlando furioso era fuori regola,