Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/291

Da Wikisource.

xix - la nuova scienza 285


congettura, arzigogola e costruisce. I monumenti non rimangono piú lettera morta: parlano, illustrano la cronologia e la storia. Per mezzo di essi si stabiliscono le date, le epoche, i costumi, i pensieri, i simboli, si rifá il mondo preistorico. In questa geologia della storia i fatti e gli uomini vacillano, si assottigliano, diventano favole, e le favole diventano idee. Comparve la sua Storia nel i697. Vico aveva ventinove anni.

L’erudizione generava dunque la critica. In Italia si svegliava il senso storico e il senso filosofico. E si svegliava non sul vivo, ma sul morto, nello studio del passato. Questo era il carattere del suo progresso scientifico. Quelli, che si occupavano del presente a loro rischio, erano cervelli spostati. E tra questi cervelli balzani c’era il milanese Gregorio Leti, che pose in luce la cronaca scandalosa dell’etá in uno stile che vuol essere europeo e non è italiano; e Ferrante Pallavicino nel suo Corriere svaligiato, una specie di satira-omnibus, dove ce n’è per tutti. In quel vacuo dell’intelligenza sciupavano l’ingegno in argomenti grotteschi e in forme che parevano ingegnose ed erano freddure, un seícentismo arcadico. Il canonico Garzoni scrivea il Teatro de’ cervelli mondani, l’Ospedale de’ pazzi incurabili, la Sinagoga degl’ignoranti, il Serraglio degli stupori del mondo. Sono discorsi accademici, infarciti d’erudizione indigesta, piú curiosa che soda. I quali erano la vera piaga d’Italia, e attestavano una coltura verbosa e pedantesca senz’alcuna serietá di scopo e di mezzi. Il piú noto di questi dotti, e ce n’erano moltissimi, è Anton Maria Salvini, cervello ingombro, cuore fiacco e immaginazione povera: vita vuota. E volle tradurre Omero.

Fra tanta erudizione cresceva Vico. Studiò la filosofia in Suarez, la grammatica in Alvarez, il dritto in Vulteio. Pedagogo in casa Rocca in Vatolla, un paesello nel Cilento, si chiuse per nove anni nella biblioteca del convento e vi si formò come Campanella. Quando, compiuto il suo ufficio, tornò in Napoli, era giá un uomo dotto, come poteva essere un italiano, e ce n’erano parecchi anche tra’ gesuiti. Era il tempo del Muratori, del Fontanini, dell’abate Conti, del Maffei, del Salvini. «Dottissimo, eruditissimo» era Lionardo di Capua, e Tommaso