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382 storia della letteratura italiana


epigrammi, le sue sentenze, i suoi motti, le sue tirate divennero proverbiali, fecero parte della pubblica educazione. Declamare tirannide e liberta venne in moda, spasso innocente allora, e piu tardi, quando i tempi ingrossarono, dimostrazione politica piena di allusione a’ casi presenti. I contemporanei, applaudendo in teatro alle sue tirate, non credevano che quelle massime dovessero impegnar la coscienza, e trovavano lui, che ci credeva, selvatico ed eccentrico. Né si maravigliavano della esagerazione, perché l’esagerazione era da un pezzo la malattia dello spirito italiano, smarrito il senso della realtá e della misura. Ma nelle nuove generazioni, travagliate da disinganni e impedite nella loro espansione, quegl’ideali tragici, cosi vaghi e insieme cosi appassionati, rispondevano allo stato della coscienza, e quei versi aguzzi e vibrati come un pugnale, quei motti condensati come un catechismo, ebbero non poca parte a formare la mente ed il carattere. La sua fama andò crescendo con la sua influenza, e ben presto parve all’ Italia di avere infine il suo gran tragico, pari a’ sommi. Ci era la tragedia, ma non c’era ancora il verso tragico, a sentenza de’ letterati. Chiedevano qualche cosa di mezzo tra la durezza di Alfieri e la cantilena di Metastasio. E quando fu rappresentato l’Aristodemo, il problema parve sciolto. Vedevano in quella tragedia la fierezza dantesca e la dolcezza virgiliana, «di Dante il core e del suo duca il canto». E in veritá di Dante e di Virgilio qualche cosa era in Vincenzo Monti. Avea Dante nell’immaginazione e Virgilio nell’orecchio.

L’abate Monti, nato fra tanto fermento d’idee, ne ricevè l’impressione, come tutti gli uomini colti. Ma furono in lui piú il portato della moda che il frutto di ardente convinzione. Fu liberale sempre. E come non esser liberale a quel tempo, quando anche i retrivi gridavano «libertá», bene inteso la «vera libertá», come la chiamavano? E in nome della libertá glorificò tutt’i governi. Quando era moda innocente declamare contro il tiranno, gittò sul teatro l’Aristodemo, che fece furore sotto gli occhi del papa. Quando la rivoluzione francese s’insanguinò, in nome della libertá combattè la licenza, e scrisse la Basvilliana. Ma il canto gli fu troncato nella gola dalle vittorie di