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418 storia della letteratura italiana


pubblico, come era la lega lombarda, trasformata in lotta italiana contro la Germania. Massimo d’Azeglio, che segna il passaggio dalla maniera principalmente artistica de’ romantici ad una rappresentazione piú svelatamente politica, volgeva in mente un terzo romanzo, che dovea avere per materia la lega lombarda. I! pittore arieggiava allo scrittore. Uscivano dal suo pennello la Sfida di Barletta, il Brindisi di Francesco Ferruccio, la Battaglia di Gavinana, la Difesa di Nizza, la Battaglia di Torino. Il medesimo era del misticismo. L’ispirazione artistica, da cui erano usciti gl’Inni e il Cinque maggio e l’Ermengarda, non fu piú il quadro; fu l’accessorio, un semplice colore attaccaticcio sopra un fondo estraneo, filosofico e politico. Vennero gl’inni alle scienze, alle arti, gl’inni di guerra. Rimasero Madonne, angioli, santi e paradiso, a quel medesimo modo che prima Pallade. Venere e Cupido, semplici ornamenti e macchine poetiche, estranee all’intimo spirito della composizione o puramente arcadiche. Dove la poesia gitta via ogni involucro romantico e classico, è ne’ versi del Berchet. E non poco vi contribuí lord Byron, vivuto lungo tempo in Venezia, di cui si sentono i fieri accenti nell’Esule di Parga. Se Giovanni Berchet fosse rimasto in Italia, probabilmente il suo genio sarebbe rimasto inviluppato nelle allusioni e nelle ombre del romanticismo. Ma, esule, portava a Londra i dolori e i furori della patria tradita e vinta. Fu l’accento della collera nazionale in una lirica, che, lasciate le generalitá de’ sonetti e delle canzoni, s’innestò al dramma e colse la vita nelle piú patetiche situazioni.

La voce possente di questa lirica drammatica giunse solitaria in unItalia, dove i secondi fini della prudenza politica avevano rintuzzata la veritá e virilitá dell’espressione. Si era trovata una specie di modus vivendi, come si direbbe oggi, una conciliazione provvisoria tra principi e popoli. I freni si allentavano, ci era una maggiore libertá di scrivere, di parlare, di riunirsi, sempre in nome del progresso, della coltura, della civiltá: gli avversari erano detti «oscurantisti». I principi facevano bocca da ridere, promettevano riforme; e sino il piú restio, Ferdinando secondo, chiamava alle cattedre, alla magistratura, a’ ministeri uomini