Pagina:Del Sistema in Genere.pdf/16

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gemina in obbietto e suggetto; al fare che, essendo unimento vivo dei detti due termini, rende possibile la cognizione che sovra la communione e rispondenza loro si posa. Or posto che il pensiero nel suo primo movimento riconosca sè non com’ente bensì come Fatto, come essenzialmente relazione ad un altro, bisogna che communichi col Fare ch’è la chiarità del pensiero stesso in quanto ch’è relazione per essenza, ed è la vegghiante virtù che lo ispinge a muoversi e a rifarsi e a rifare, senza la quale communione il pensiero saria impossibile e dormiente, e, usando la locuzione dell’Alighieri, anco rispetto a sè sarebbe ad ogni conoscenza bruno. Posto che la mente in sè e in quello ch’è fuori conosca inabitare alcun fine; dappoichè il fine è pensiero; ella conoscendo in sè e in quello ch’è fuori inabitare un pensiero che da lei non è uscito, non dee e può anco per questa via entrare in communione col mentovato Fare come mente prima? Che se il Fatto è ragionevole, non c’è un fare ch’è ragione? Quegli che materialmente studiano la materia danno la baja a chi ragiona dell’universo come abitacolo del pensiero; che, dove l’hai tu veduto, dicono, tu che ne parli così securamente? Io riferirei loro un esempio. Vedi questa gentil cosa dell’occhio? tu mi consenti che tra la struttura sua e le leggi della luce, avvegnachè ella abbia le sue fonti ad infinita distanza, è una rispondenza perfetta; e che l’occhio veggente è quasi la schiarita coscienza della luce, e che per la luce l’occhio è visibile a sè stesso. Ora l’occhio non creò la luce, la luce neppure formò l’occhio, nè al suo formarsi sopravvegghiò nè rivolse alcuno sguardo, imperciocchè l’occhio siasi fabbricato dentro al