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tronco abbattuto dal vento, guardava Ballòra con affetto selvaggio e sorrideva per lo scherzo del Sindaco. Scherzo che pronunziato da altri gli avrebbe recato offesa.

— È troppo giovane, — rispondeva.

— Dicono che tuo fratello Matteu sia un buon coltivatore....

Tiu Matteu è un pastore, non un contadino — rispondeva Ballòra con dispetto. E andava sul limitare della porta, e senza smetter di filare la seta cruda per una benda da testa, guardava in lontananza, verso l’orizzonte coperto di nuvole immobili, azzurrognole e rosee sullo sfondo grigio del cielo.

Quelle nuvole colorate, che s’indugiavano pigre e come assopite sul cielo melanconico di marzo annunziavano la fine dell’inverno: tutto taceva intorno, e i macigni, le roccie, i tetti lavati dalle pioggie e dal vento, fumavano nell’aria tiepida e vaporosa. Sì, l’inverno moriva; fra poco l’erba sarebbe spuntata anche sulle chine più alte della montagna, sotto le foreste ove non penetra il sole, e i pastori sarebbero ritornati alle terre natie.

Il Sindaco poteva scherzare quanto voleva; Ballòra aspettava la primavera, anzi la sentiva già, nell’aria, nel cielo, e sopratutto nel suo sangue giovane e ardente. Una mattina, agli