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176 cattive compagnie


Una scala a piuoli conduceva, per una botola, alla stanza superiore.

Ziu Tòmas chiamò ancora “ohè, gente„ e poiché nessuno rispondeva salì con diffidenza la scaletta e mise la testa entro la botola. Vide un’altra stanzaccia, non meno squallida della prima: dalle pareti, gialle per il fumo, pendevano molti quadretti con la cornice nera; fra due casse, una nera e l’altra rossiccia, scolpite con arte primitiva, sorgeva un letto di legno a baldacchino, privo di tende, e su questo letto, coperto da una coltre di lana gialla, giaceva una donna addormentata.

Sopra una cassa stava un cestino di canne colmo di lana nera scardassata; accanto al cestino un piatto di stagno con alcune monete di rame e d’argento.

Ziu Tòmas esitò ancora, prima di entrare. Era questa Nanascia, la famosa maga? Non sembrava vecchia, come gliel’avevano descritta: era pallidissima in viso, con gli occhi socchiusi, vitrei, le bocca stretta, i capelli grigi arruffati, uscenti da una cuffia nera che circondava come d’un’aureola funebre quel viso cadaverico: ma il suo corpo era quello d’una donna ancora giovane, col petto abbondante, il collo bianco, le mani, abbandonate sulla ruvida coperta gialla, piccole e grasse.