Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/153

Da Wikisource.

cosima 113


Raggiunse Cosima e le si mise a fianco, silenzioso. Ella non si stupì: tutto doveva procedere così; e quando egli le cinse lievemente le spalle col braccio che tremava ella non protestò, non cercò di liberarsi. Tutto doveva procedere così: era una cosa ordita dalle sorelle maliziose di Fortunio, ma pareva anche un incantesimo prodotto dall’ora, dal luogo, dalla sorte che protegge gl’innamorati. Anche l’ombra folta che si stendeva al margine dello stradone, in una svolta ove le rocce scendevano fino al paracarri, parve una tenda di velluto, che avvolse i due giovani poeti e permise ai loro freschi volti di formarne uno solo: il volto dell’amore.

Tutto sembrava proteggerli: il modo facile di scambiarsi le lettere, la strada in comune, la vicinanza dei loro orti. E dell’orto di Cosima, di notte, quando si sapeva che la madre e le sorelle riposavano, la prima avvolta anche nel sonno dal suo velo di sofferenza e di preghiere, le seconde nei loro sogni ancora bianchi di innocenza, Fortunio riusciva, nonostante la sua infermità, a scavalcare il muricciuolo, e ritrovare, sinceramente ansante e appassionato, all’ombra di un angolo protettore, la sua piccola amica che sembrava, così sbalordita e silenziosa, il fantasma di sé stessa. Ella si lasciava baciare da lui, ne sentiva il calore della persona, i fremiti e gli ànsiti di eroe incatenato, la violenza impotente con la quale egli avrebbe voluto portarsela via; ma una fredda, quasi malvagia potenza di