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grandi romanzi francesi dell’Ottocento; solo la sua voce era un po’ aspra, ma si sperdeva, col fumo dell’incenso, nel rombare nostalgico dell’organo, che suonava il coro del Nabucco: «Va pensiero su l’ali dorate»... E tutto, luce, suoni, colori, accresceva la luminosa illusione di Cosima, che si vedeva trasportata in un mondo fantastico.

Fu proprio da quel tempo che la sua vita prese un ritmo fiabesco. I giornali parlavano di lei. Arrivò persino, fino alla casa di lei, da una città lontana, un alto, grasso, biondo giornalista, la cui presenza mise in subbuglio tutto il vicinato. In Cosima quella visita suscitò il più alto orgoglio e la più cocente umiliazione. Umiliazione di doverlo ricevere in quella stanza terrena quasi povera, dove nella vecchia libreria si vedevano ancora le carte d’affari del padre morto; però le sorelle avevano steso un’antica tovaglietta di pizzo sul tavolino dove fu servito il caffè: ella aveva indossato il suo vestito di seta stellata, ma non sapeva che dire, mentre l’uomo biondo la scrutava coi piccoli occhi verdognoli che, a guardarli di sfuggita, quasi con spavento, a lei ricordavano quelli dei gatti selvatici in agguato contro gli uccellini di primo volo. Egli però fu gentile, e nel suo giornale scrisse che la scrittrice «pallida, piccola, nervosa, (nervosa? non sapeva che cosa questa parola significasse: tuttavia la lusingò) questa fragile creatura che, senza mai essere uscita dal suo quieto nido, conosce tuttavia,