Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/95

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renza da animale malato. Se ne stava nella sua camera, chiuso a chiave, – poiché Andrea s’era stabilito in quella che doveva funzionare da salotto, – e non usciva se non per andare a cercare da bere. Del resto era innocuo; non molestava nessuno; nelle ore buone scendeva in cortile e fabbricava giocattoli con la ferula1, per i bambini del vicinato; tutti gli volevano bene, ma la sua ombra gravava intorno e accresceva il lutto della madre e delle sorelle. Dopo quelle ultime vacanze, verso ottobre, parve svegliarsi dal suo malefico incantesimo; preparò i suoi libri, disse che avrebbe fatto ogni sforzo per compiere entro l’anno scolastico il resto degli studi e laurearsi. L’arcobaleno della speranza illuminò il grigio orizzonte della famiglia: fu raccolto il gruzzolo necessario per fa sua partenza, e la madre, anzi, gli diede i pochi risparmi che teneva nascosti per riserva, in caso di bisogni impreveduti. Fu una festa, la partenza di lui, e anche un senso di liberazione per la casa; alla sua camera fu data aria, come a quella di uno che è morto o guarito dopo lunga malattia, e finalmente fu vista la madre sorridere e prender parte alle conversazioni animate delle ragazze.

Sei notti dopo la partenza di Santus, fu sentito, sul tardi, qualcuno bussare replicatamente alla porta. Dopo mezzo secolo di vita, Cosima ricorda

5-DELEDDA
  1. Una sorta di canna con un midollo dolciastro che i ragazzi sardi succhiano molto volentieri.