Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/153

Da Wikisource.


È una felicità un po’ stracca e monotona, la nostra, appesantita dal caldo sciroccale di quest’agosto variabile, in riva al mare. Nulla ci manca; tutto, anzi, pare esclusivamente nostro. Nostra la casa, con intorno i freschi pioppi del Canadà sempre sorridenti e danzanti, col mare blu e il cielo lilla fra i tronchi sottili, il suolo sparso di foglie che al primo sole sembrano davvero monete d’oro; e dall’altro limite la strada litoranea asfaltata e coperta di rena, sulla quale scivolano veloci e silenziose le automobili in viaggio estivo; e le innumerevoli biciclette delle donne e dei ragazzi con la testa in giù, i capelli svolazzanti nella corsa sfrenata, mettono un movimento e un’allegria di rondini a volo.

Sono belli e schietti, i tramonti che si godono da questa strada, camminando sicuri, sui margini ancora felpati di erba biondiccia, come su una corsia di casa nostra. Avanzandosi verso i campi, si vedono ancora prati teneri: le lucertoline guizzano fra l’erba come pesciolini in acqua e certe farfalle rosa e gialle si confondono coi fiori delle siepi. Il grande sole granato cade fra gli alti pioppi, sopra i casolari dei contadini e i pagliai rinnovati: si sente un odore di cam-


— 143