Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/201

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sola con la vasca, e il rumore dell’albero e del vento diedero l’impressione di una burrasca marina.

Bisogna dire che una certa tremarella cominciò ad impossessarsi anche delle più coraggiose di noi: e il contegno incerto e spaurito di Arcangelo non era adatto a dissipare il terrore del momento; tanto più che egli non voleva aprire la seconda stanzetta del rifugio, con la scusa di aver perduto la chiave. Che cosa nascondeva egli nella seconda stanzetta? Forse un malvivente, di quelli che non mancavano di bazzicare nei luoghi, come quello, poco frequentati; o magari una donna?

Nonostante tutte le prove di attaccamento e di fedeltà di cui egli era già stato prodigo, un certo alone di sospetto rimaneva intorno a lui: l’uomo non si libera mai completamente dell’ombra di una colpa commessa; e la sua era tanto più indimenticabile quanto meno conosciuta. E poi quella voce implacabile del pino, che pareva raccontasse tante cose terribili e accusasse non solo l’uomo pallido venuto di lontano a turbare la sua solitudine, ma anche noi, piccole creature irrequiete, che lo si molestava con la nostra presenza. Ben vi sta, ben vi sta, bambine insolenti, che avete lasciato sola a casa la mamma, la quale adesso vi piange come in pericolo di vita; così imparerete a non venirmi oltre a rovinare la corteccia coi vostri temperini, od a spogliare il praticello dei miei pignoli.

Accovacciate intorno a una fiammata che Arcangelo alimentava con manciate di aghi secchi del pino, si ascoltava la voce minacciosa; e sem-


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