Pagina:Deledda - Il fanciullo nascosto, Milano, Treves, 1920.djvu/128

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122 il primo viaggio


vecchio rimasto nella diligenza, dopo che gli altri eran tutti scesi all’ultima stazione, s’era sdraiato e dormiva. Era una sera fresca di settembre, e di nuovo tante stelle guardavano dai rialzi neri e l’odore del lentischio arrivava fino a noi. Io tacevo e anche il giovane taceva: solo mi domandò:

«Ha freddo?» e prese il suo grande cappotto e lo stese sulle mie ginocchia, tirandone una falda sulle sue: così sotto mi prese la mano. Io volevo gridare; ma tremavo tutta e non potevo aprire le labbra. E così si arrivò: per tutta la notte io non chiusi occhio, in casa del nostro ospite; desideravo morire tanto ero felice, e il viaggio, l’incontro, l’amore del giovane tutto mi pareva un sogno. E appena alzata ecco vidi lui in fondo alla strada come il sole. E così si andò assieme alla festa, e si ballò, e si tornò assieme: e nel lasciarci egli promise di venire alla nostra festa, in ottobre.

Lo aspettai un anno e un mese: finalmente arrivò suo zio il Rettore; rammento, era un prete così grasso che il cavallo sudava per portarlo: un prete che pareva un vescovo, con le calze di seta e le fibbie d’argento.