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206 grazia deledda

maledetta se sapevo niente! Io ti ho dato il veleno? Io? Che è accaduto!

La sua disperazione era sincera. Zio Tòmas cominciò anch’egli a scuoter la testa, e si calmò alquanto. Che fare? Egli si riteneva il maggior colpevole, egli che si era ridotto a credere alle arti diaboliche della maga. Il Signore lo aveva castigato. Ma egli non riusciva a spiegarsi perchè la donna gli avesse dato il veleno; e questo mistero lo tormentava, acuiva i suoi rimorsi, lo faceva impazzire.

— Perchè? Perchè? — disse, giungendo le mani. — Potevi darmi una medicina innocua! Perchè mi hai dato il veleno? Voglio saperlo, prima di denunziarti alla giustizia. Perchè voglio denunziarti, sai: perirò anch’io, ma tu devi morire nell’ergastolo.

La donna piangeva.

— Senti — disse infine, alzandosi risoluta. — Voglio dirti tutto. Nei giorni in cui tu venivi per domandarmi la medicina, veniva da me un dottore per consultarmi circa una sua lite. Io gli parlai di te. Egli mi disse che ti conosceva e conosceva anche la tua malata. E diceva: «È meglio che quella disgraziata muoia: la sua morte è un bene per lei e per gli altri». Io gli dissi: «Il vecchio vuole una medicina da me: mi indichi lei qualche medicina efficace, così io, se la malata avrà qualche giovamento, anche leggero, io acquisterò prestigio. Quel vecchio mi fa pena. Ajutiamolo». «Fa pena anche a me, disse il dottore. Bene; ti procurerò io una medicina, ma non dirai mai che te l’ho data io». Io promisi: egli mi diede la medicina