Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/298

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sterioso, — ma in realtà per riveder Sebastiana. La primavera, come altre volte, lo fiaccava, lo vinceva; e al cader della sera egli si buttava sul suo giaciglio, affranto come se qualcuno lo avesse bastonato.

Mentre Marielène apparecchiava la tavola, egli osservava la vecchia, dritta davanti ai fornelli, pallida e dura nel suo vestito nero composto di una sottana molto increspata alla vita e di una giacca abbottonata fino al mento, e non sapeva perchè, sentiva una forte antipatia per lei.

— Che c’è di nuovo in paese, signora Arrita? Che diceva poco fa? Parlava d’un turco.

— Sì, — riprese la vecchia, senza voltarsi, — c’è un turco che gira, con una cassetta di cianfrusaglie. Io domandavo a Marielène, che è una donna saggia e beneducata, se una persona seria può fermarsi a guardare queste cianfrusaglie ed a ridere e scherzare col turco che le vende.

— Tanto più che sarà un napoletano in gonnellina.

— Per questo no: è proprio un turco e viene da Gerusalemme. Ha persino delle reliquie, e davanti a queste io mi segno. Ma le persone che dico io non guardan le reliquie; no, tutto al più guardano le corone di madreperla e le medaglie d’oro.