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vero in lui l’ospite di quella lontana notte di autunno.

— Sì, io. E lei lo sa benissimo, come sa tante altre cose. Ma bisogna che noi c’incontriamo ancora, e che io le dica quello che lei ancora non sa. Sono venuto qui per questo, oggi, per chiederle un colloquio. Oh, non abbia paura, — affermò, col suo sinistro eppure rassegnato sorriso, — sarà il colloquio con un morto.

Che dovevo rispondergli?

— Ella dirà: ai morti non importa più nulla dei vivi. Chi lo può sapere? C’è una parte di noi che non muore, o che almeno vive o s’illude di vivere finché ci dura il respiro. Lei lo sa, del resto: lei sa tante cose.

Questo suo ritornello mi ricordava il lamento del suo violino. Era vero: sapevo tante cose, sapevo tutto; ma che cosa potevo oramai fare per lui? Eravamo forse sempre allo stesso punto: l’incontro dello spirito con la materia; solo che le parti si erano invertite, e se adesso in lui parlava l’anelito dell’anima che non voleva