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l’ansito ogni giorno più forte del torrente raccontava una storia di dolore che andava a sperdersi nella valle.

La valle, dunque, io non la vedevo, ma la sentivo, in tutte le stagioni, con quella tragica nenia di torrente, coi boati del vento che in certe notti d’inverno vi salivano come dalla profondità di un vulcano, e che a me piacevano quasi fisicamente, perché mi sembravano il grido della terra tormentata dagli elementi, un’eco stessa della mia adolescenza turbinosa di sogni e desideri inappagati; sogni e desideri che poi, a primavera, si ripetevano col canto del cuculo, sempre più chiaro a misura che si spegneva quello del torrente, e si assopivano quando dalla valle veniva su l’alito ardente e profumato della stagione estiva.

Nella valle la mia famiglia possedeva un piccolo podere, coltivato e vigilato da un vecchio contadino che ci viveva come un eremita, e dell’eremita aveva l’aspetto autentico: solo di tanto in tanto egli veniva su, a casa nostra, con un cestino di can-