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devano la mia paziente solitudine. Un giorno di carnevale, coprirono gli alberi e i viali di stelle filanti e di coriandoli rossi, gialli e verdi. Era bello; pareva che il giardino fosse fiorito; tutti si fermarono a guardare, e un giorno sento una signora che dice ad un’altra:

— È il giardino della vedova Pistuddi.

— Si vede che è una vedova allegra — dice l’altra.

Io piangevo.


*


Ma adesso veniamo al fatto.

I bambini si divertivano anche con un gattino molto bello, bianco e nero, che pareva avesse sul faccino bianco una bautta di velluto nero attraverso la quale gli occhioni azzurri guardavano come da una lontananza di sogno. Era giovine, e quindi molto allegro: se si affacciava al mio finestrino e se lo guardavo s’inarcava tutto e raspava l’inferriata; ma non osava saltare dentro perchè una volta l’avevo scacciato malamente. I bambini ci giocavano, ma bestialmente; si divertivano a tormentarlo, e il più piccolo lo martoriava in tutti i modi. Un giorno ch’erano loro due soli in giardino sento il gatto miagolare così disperatamente che sal-