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Piccolina 147

tornava. La cornacchia cantava. Era un vociare aspro, con fischi e lamenti, ma aveva un tono infantile, come il canto di un monello che per attirare nella rete gli uccelli di macchia ne imita i sibili e i richiami.

La primavera entrava nella mia casa, con quel canto selvaggio.

Quando mi vide, la cornacchia sollevò le ali e si protese tutta verso di me: dunque mi riconosceva. Eppure rifiutò il cibo che le porgevo. Accettò invece di venire sul braccio, e cominciò a beccare i bottoni della mia veste, e sulle falde di questa mi regalò una goccia di mastice per nidi! In cambio accettò per la prima volta, ma sbuffando e ritraendosi, una carezza sulla testa. Mai ho sentito una cosa più morbida delle sue piume vive: e quella testa che pareva grossa e nella minaccia lo diveniva ancora di più, era piccola come una nocciuola, attaccata alla cordicella finissima del collo flessibile. Istintivamente allora le diedi un nome, che la distingueva nettamente dalla Chia di Fedele.

Chia era la cornacchia di Fedele: la mia la chiamai Piccolina.