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152 | il sigillo d'amore |
— Adesso Fedele, adesso stiamo fresche,— io gridavo rincorrendola. Ma in fondo mi divertivo.
*
Fu quella sera che Fedele rientrò tutto stravolto in viso, con gli occhi lagrimosi e i denti serrati.
Alle mie domande rispose che aveva preso freddo.
— Procurerò di sudare, questa notte: domani sarà tutto passato, — disse.
Infatti si alzò all’ora solita, accudì alle faccende solite e uscì a fare la spesa. Il tempo era orribile: il cielo bianco e basso dava un senso di tristezza funebre: ed io provai un presentimento di sventura.
Fedele rientrato dalla spesa lavorava in cucina: tutto intorno era pulito e in ordine come sempre; solo osservai che egli non aveva rinnovato i fiori nel vaso della tavola da pranzo; però mi guardai bene dal rimproverarlo, quando venne a servirmi la prima colazione. Era livido in viso e stringeva i denti.
— Fedele, — dico io quasi sdegnata. — E perchè non sei rimasto a letto? Tu sei malato.
— È un po’ di freddo, passerà: prenderò adesso un po’ di aspirina.