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gridarono assieme volando in alto fino a sperdersi nel sole.

Madlen sentì voglia di piangere: ma di un pianto le cui lacrime avevano il sapore aspro e dolce delle goccie d’acquavite che la madre le concedeva nei grandi momenti.

Stesa sulla pelle il cui pelo e l’odore si confondevano con quelli dell’erba, pensava al tesoro della vecchia e al modo di poterlo vedere.

Oh, ci arriverà certo: fra un anno, fra dieci, quando anche lei avrà venti anni e leggerà la sorte sulla palma liscia dei bei ragazzi che vengono nell’accampamento per vedere le zingare belle, e sarà furba e forte anche lei, arriverà a vederlo, il tesoro. E poi è di tutti, è della comunità, e la vecchia dovrà bene tirarlo fuori.

— È di tutti, come il sole, — mormora Madlen; e pur farsi un’idea del misterioso splendore che sgorga dal vaso d’oro, trae lo specchietto rotondo e lo contrappone al sole. Lo specchietto brilla e vuole davvero follemente parere un piccolo sole. Madlen lo fissa, ma non è soddisfatta: altra luce è quella che splende dentro il vaso d’oro. Allora, dopo essersi divertita a giocare un po’ col sole, agitando lo specchietto e facendone balzare il riverbero intorno sull’erba e la siepe, pensa che forse il tesoro si vedrà meglio nel sole stesso.