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A cavallo 15

fermarci: avevo fame e cominciavo ed essere stanca.

— Tu sei pazza, — gridò la cugina piegandosi per trarre qualche cosa dalla bisaccia, — sai che il viaggio è lungo e non dobbiamo perdere un attimo di tempo. Prendi e mangia; i denti non hanno bisogno di star fermi per masticare.

E diede un pezzo di pane a me e una bastonata alla mia innocente cavalcatura. Da quel momento il nostro viaggio prese un carattere alquanto fantastico. Si saliva sempre; nel meriggio luminosissimo le grandi vallate molli di una vegetazione intensa che aveva l’ondulare lucente del lampasso, i placidi mostri addormentati delle roccie argentee, gli alberi tutti scintillanti, i prati coloriti di fiori, lo sfondo grandioso delle montagne che parevano di marmo azzurrognolo venato di rosa e di viola, prendevano una bellezza esasperante: paesaggi così, fatti di luce e dei colori liquidi delle gemme, si vedono solo in sogno o nelle vetrate istoriate.

Ed ecco siamo su un altipiano: la strada si insinua in un bosco; attraverso i tronchi dei lecci secolari, bruni ancora delle foglie vecchie, gli sfondi svaporano più chiari in uno spazio infinito: ed io comincio ad avere l’impressione che i monti del Gennargentu invece di avvicinarsi si allontanino o meglio si sciolgano in quella luminosità aerea.