Pagina:Deledda - Il sigillo d'amore, 1926.djvu/27

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Deposizione 21

sura che anch'io muovo verso di lei rispettoso e fiducioso.

— Ecco il fatto mio, — penso, e col cappello in una mano e la scatoletta dei bottoni nell’altra, sinceramente turbato le dico: — perdoni, signorina, sono gli ultimi che mi rimangono di una partita di mercerie. Non vorrebbe acquistarli?

Ella guarda attentamente la scatoletta aperta, poi solleva gli occhi ed io mi sento avvolgere tutto come da un velo azzurro. Ed ho l’impressione che oltre il mio corpo quegli occhi vedano l’anima mia, nella sua più profonda miseria, e che al riflesso di questa si coprano d’infinita tristezza.

Ella ha inteso chi sono. — Quanto è? — mi domanda senza toccare la scatola.

E mai ho sentito una voce più soavemente rauca. D’un colpo mi vergogno di me stesso: ho voglia di piangere, di caderle ai piedi come una foglia morta.

Ella vede e indovina tutto, riprende a camminare permettendomi di accompagnarla ed anzi sollevando alto l’ombrellino quasi per fare ombra anche a me.

Io chiudo la scatoletta e vorrei offrirgliela in dono; ma mi vergogno; mi vergogno di tutto, oramai.

— Lei ha indovinato chi sono; — mormoro seguendola a testa bassa come un cane umi-