Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/138

Da Wikisource.

— 128 —

timbro: timbro metallico e sonoro, sì, ma vibrante di una voluta compunzione. Il suo abito è accurato, con un cordone ricco, quasi donnesco: anche le dita delle sue mani lunghe e bianche, sono ben tenute; ha, infine, un’aria da gentiluomo convertito, che però non mi soddisfa.

Quella che invece mi sorprende e mi piace è la camera di don Achille; spaziosa, bianca, alta, quale io non mi aspettavo nell’interno della vecchia parrocchia; con fasce decorative sulle quali un pittore primitivo da pareti ha stampato fiori, agnellini, colombi, simboli cristiani.

Il lettino dove giace lungo stecchito il prete è tutto ricami e trine: sul canterano una tovaglia quasi d’altare e uno di quei bellissimi candelabri ad olio, di lucido ottone, con catenelle per lo smorzatoio e la forcina per smoccolare. Un inginocchiatoio sta davanti ad una finestrina dalla quale si vede, come in un quadretto con vetro, un paesaggio da presepio, una capanna fra due olivi, su un poggio verde incoronato di piccole nuvole rosse. È già tramontato il sole, e nella camera vi permane il suo tepore, misto a un odore di trementina bruciata.

— Ecco il nostro vero dottore, il dottore delle anime nostre, — disse padre Leone, accostando una sedia al letto del parroco, e invitandomi a sedere. Il malato si era fatto rosso