Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/216

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per parte di mia moglie; perché io, a dir la verità i miei parenti faccio di tutto per fingere di non conoscerli: anzi tento di dire: io sono figlio d’ignoti; io sono figlio di nessuno.

Egli però non aveva ancora finito che già vibrava il pentimento: e fra il sempre più languente sorriso della padrona e lo sguardo di cattiva lince del sor Francesco in ascolto, si sentiva la gobba trapassata come un tordo dallo spiedo.

— Mia moglie, — concluse tuttavia, spinto anche da un certo orgoglio delle sue energie personali, e da dispetto per il portiere, — verrebbe a salutarla, se lei lo permette.

— Permetto, permetto, — rispose Noemi, con moti scherzosi della testa, che avevano qualche cosa di furbesco e civettuolo: tutto un giochetto di mascherina.


Ed ecco, se ne andò; quasi eccitata, come se invece del cavalier Adone Giovi avesse incontrato un bel giovane corteggiatore: se ne andò, stringendo fra le mani il libriccino, che aveva fatto amicizia intima coi guanti e tutto si scaldava al loro vellutato tepore: libriccino, guanti, e le mani esili dentro guizzavano di vita, respiravano anch’esse il respiro nuovo e giovane del