Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/239

Da Wikisource.

— 229 —

Primavera inoltrata. La signora Noemi rise, per le prodezze galanti del suo portiere, ma nel lucente riverbero del cedro e del pino le apparve, rapido, un paesaggio lontano: e Franco, e Agar: un riverbero, un’ombra, un tremolio al cuore. E la signora Giulia notò che la «santa» aveva le gengive pallide, di un rosa sfiorito: era anemica, certamente; aveva bisogno d’aria, di primavera, anche lei, di amore, di amore.

Era buona, la signora Giulia, forte e buona, con grande cuore materno. L’aveva mandata lì suo marito, per portare la buona fortuna alla signora Noemi, per tastare il terreno e vedere se c’era da tentare qualche cosa per Antioco; ma ella avrebbe voluto condurlo lì addirittura, il suo giovane nipote, e lasciarlo a quattr’occhi con la povera signora Noemi.

Prudenza; aveva però avvertito il cavalier Adone: ed ella aspettava che fosse l’altra, a chiedergli di Antioco, come aveva già ben cominciato: intanto domandò:

— A proposito di terrazze, come va la sua? Dalla strada si vedono i gerani, sulla balaustrata, che sembrano tanti fuochi. Tutti li guardano incantati.

— Non so: li ho veduti anch’io dalla strada. È più di un mese che non vado su: mi sono presa un bel raffreddore, l’ultima volta. So, però, che ci sono già i tulipani e le rose centifoglie.