Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/267

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viaggiare in aereoplano, sempre più in alto, in una atmosfera che dava un senso di ebbrezza buona: poteva guardare negli occhi il suo compagno di viaggio; anzi gli domanda cordialmente:

— Lei è toscano?

— Veramente no: sarei, se ci fossi nato, mentre ci è nato mio padre, di un paesetto al confine fra la Romagna e la Toscana, dove gli abitanti parlano, in dialetto il romagnolo, in lingua il toscano, sebbene alquanto corrotto.

Allora, quasi spinta da un bisogno superiore alla volontà, ella disse:

— So dov’è. C’è anzi, adesso, un mio conoscente; forse lei lo avrà incontrato: l’ingegnere Franco Franci.

— Oh, sì, — egli ribatté, perfettamente calmo e sicuro; — siamo quasi amici, o almeno abbiamo avuto buoni rapporti, anche per certi suoi affari. Poiché io, signora, ho avuto l’onore, fino a qualche settimana fa, di funzionare da podestà del mio paesello d’origine: e l’ottimo ingegnere Franci è lassù, a caccia di mosche.

Risero Noemi ed Antioco: pareva si beffassero d’intesa, di gusto, ma anche bonariamente, del comune amico. Il cavalier Adone, che era, per un caso straordinario, all’oscuro di tutto, si incuriosì e domandò spiegazioni. E Antioco,