Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/271

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Dopo tanti anni, ella infatti provava una freschezza, una levità aerea, quasi un senso di volo, di donna giovane, di fanciulla che ancora non conosce le brutalità della vita: e pensava che, dopo tutto, era una creatura fortunata, protetta da Dio. Che cosa le mancava? Nulla; e forse bastava un solo sguardo per ricominciare una vita ancora più piena e completa: e forse era Dio che le mandava incontro un altro compagno, e, coi fiori e i profumi, riempiva d’un tratto di nuove speranze la terrazza solitaria.

Di Antioco ricordava, oltre al torbido ritratto fattole da Franco, la difesa dell’ingegnere del Genio Civile, e quella stessa di Agar; e d’un tratto gli appariva come un fanciullo smarrito, senza madre, senza amici; lo stesso che errava intorno al convento e per ribellione alla sua sorte di adolescente disprezzato, e segnato da una vergogna non sua, sollevava gli occhi fino alla fanciulla nobile e ricca. Bastava prenderlo per mano, ricondurlo nella strada maestra della vita, per farne un valoroso. Ma ricordò subito che lo stesso sogno lo aveva fatto per l’altro: e le cose erano andate a finire in quel modo. Un crudele bisogno di disilludersi la spinse a guardare con occhi duri, il giovane e il suo compagno: sì, anche il compagno, che, certo, era animato dai suoi piccoli calcoli, a proposito di lei e delle sue decisioni. Domandò: