Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/282

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La signora Noemi sa già quali sono le due parole; pensa che forse questa è l’ultima scena del suo oramai troppo lungo dramma, e vuole interessarsene, più come spettatrice che come attrice. Poiché il signor Francesco, ella sa anche questo, reciterà a vuoto: ma ella si divertirà per la gelosia di lui, i suoi valorosi propositi, la sua sicurezza di essere anche lui un argine contro i pericoli dei deboli.

— Si accomodi, signor Francesco.

Egli si pulì bene i piedi, prima di entrare; si guardò bene di non sfiorare, neppure con la punta di un dito, la persona e le sacre cose che appartenevano alla sua padrona; cose che, nel salottino giapponese, inondato dalla luminosità quasi marina del pomeriggio calante, assunsero come un aspetto fragile e timoroso alla presenza erculea e risoluta di lui. Ripete la signora, prendendo il suo solito posto come alla prua d’una barca:

— Si accomodi.

Egli se ne guarda bene: se piegasse la sua persona su una di quelle sedie aeree, la barca si capovolgerebbe: alto, lineare, rispettoso, ma energico, dice lentamente:

— È venuta giù da me, poco fa, la signorina Billi, la maestra di pianoforte, lei la conosce brava vecchia ragazza, della quale tutti trovano da dire bene. È lei che mantiene la famiglia, il