Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/143

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Adesso le squartava, in fondo al suo antro che puzzava tutto di lucido come una scarpa nuova, quando il chiarore della porticina si oscurò. Egli si volse, sdegnato che non lo si lasciasse in pace neppure a quell’ora; spalancò gli occhi, poi d’istinto si pulì le mani col fazzoletto.

La testa gli girava; tutte le coppie delle scarpe addormentate qua e là come un gregge disperso, si misero a camminare, andando incontro alla donna che scendeva la scaletta: una donna che più scendeva più sembrava alta, con un mantello i cui lembi indoravano gli scalini come le stelle filanti lo spazio che attraversano. Il suo viso bianco illuminò di una luce fantastica la casa del ciabattino. Era la signora del villino di fronte.

Col gesto lento di quando lo faceva nel salotto delle sue amiche, si slacciò il bavero del mantello, e il sor Pio vide che dalla borsa di lei sbucavano senza paura le teste bionde di due filoncini di pane e il collo di cigno d’una bottiglia di latte. Con la mano inguantata ella intanto gli porgeva un’altra borsa, di pelle marrone, in forma di libro, chiusa a chiave, di quelle che si usano per le carte di valore.

— Guardate un po’, sor Pio, se la si può ridurre più piccola e leggera: togliere, per esempio, lo scompartimento di mezzo.

Sor Pio! Ella lo chiamava così, come un’antica conoscenza. Ed anche lui sentiva d’un tratto sprofondarsi la distanza che li separava, sbalzati